giovedì 29 gennaio 2009

ROMENI A ROMA


ROMENO SGOZZATO A ROMA, IN CELLA CONNAZIONALE MINORENNECRO (ANSA) - ROMA, 29 GEN -


Un romeno di 17 anni è stato arrestato dagli investigatori della squadra mobile di Roma perchè ritenuto responsabile dell'omicidio di Ovidiu Petrica Macrea, un connazionale colpito con il collo di una bottiglia rotta davanti al teatro Ambra Jovinelli, nella zona della stazione Termini, l'8 novembre scorso. La vittima venne colpita alla gola durante una lite. A tradire il giovane romeno è stato un cellulare, quello sottratto a Macrea poco prima dell'aggressione mortale.


Grazie alle tracce lasciate dal telefonino gli investigatori della mobile sono arrivati a lui: a novembre sedicenne ma un passato pieno di precedenti e più volte scappato da comunità protette. La sezione omicidi della squadra mobile, diretta da Stefano Signoretti, lo ha cercato in diversi campi dove il giovane viveva, poi fino a Pescara, dove si era rifugiato dopo l'omicidio. Ma proprio il cellulare sottratto alla vittima e venduto qualche giorno dopo per 40 euro a due rumeni di Pescara, lo ha incastrato. Secondo gli accertamenti della squadra mobile a scatenare la lite che è culminata nell'omicidio potrebbe essere stato un probabile caso di bullismo tra connazionali forse proprio dovuto al possesso di quel cellulare. (ANSA).

mercoledì 28 gennaio 2009

ROMENI E STUPRATORI

di LUCIA ANNUNZIATA
Guardando le immagini di Guidonia, quelle in cui arrabbiatissimi abitanti del luogo cercano di linciare i romeni presunti responsabili della violenza e dello stupro di una coppia di giovani fidanzati, mi viene un dubbio: hanno vinto finalmente le donne, oppure sta vincendo una nuova forma di barbarie?Non tanto tempo fa, penso agli Anni Ottanta, epoca modernissima di questo Paese, per far riconoscere lo stupro come reato, non contro la morale ma contro la persona (in questo caso basta citare quello del Circeo, 1975), le donne dovettero calare in massa davanti ai tribunali, incatenarsi ai pali della luce, improvvisare volantinaggi sotto i più importanti media per rompere la teoria secondo la quale ogni donna era in realtà colpevole dell’abuso sessuale che aveva subito.

Oggi assistiamo invece a un’enorme reattività in difesa delle vittime di violenza. Lo stupro e la morte della signora Reggiani prima e quello quasi immediatamente dopo di una giovane africana sono stati la materia più scottante della campagna elettorale nazionale un anno fa. Le violenze sulla coppia di Guidonia hanno portato quasi al linciaggio, mentre per il giovane che a Capodanno ha stuprato una ragazza durante una festa del Comune di Roma, un coro nazionale ha chiesto il massimo della pena, oltraggiati tutti dal fatto che un giudice (donna) gli avesse concesso «solo» gli arresti domiciliari.

La nazione, insomma, sembra scossa da un’indignazione protettiva nei confronti delle donne che si può paragonare solo a quella che negli anni ha suscitato la pedofilia. La sensibilità sociale si è evidentemente evoluta, dobbiamo concludere. O no? Forse c’è un’altra domanda che andrebbe fatta alle donne nell’attuale momento: è questo che la loro mobilitazione di anni voleva ottenere? È questo il tipo di reazione, protezione, per cui hanno lottato? Ovviamente, è meglio avere una difesa che il disprezzo; è meglio pensare di avere un padre, un marito, un fratello che mena le mani per te, e un Paese che chiede a gran voce la tua sicurezza.

Ma, parlando senza arroganza, c’è qualcosa di ugualmente espropriante della persona donna in questa levata di scudi. La prima espropriazione ha a che fare con il «tipo» di stupro che suscita proteste: si tratta inevitabilmente di quelli commessi in ambienti pubblici. L’Istat ha pubblicato una ricerca sulla base della quale le donne dai 16 ai 70 anni che in Italia hanno subito in totale violenza sono 6 milioni 743; di cui un milione e 150 mila nel 2006: di queste un milione 400 mila ragazze hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni.

Autori della violenza? Il 69 per cento sono partner, mariti o fidanzati. Statistiche più recenti ci dicono addirittura che solo il 10 per cento degli stupri è perpetrato da stranieri. Inutile dire che per questa vasta zona grigia di crimine «in famiglia» non ci sono né proteste, né denunce: possibile che nessuno mai se ne accorga?Ma se lo stupro fa rabbia solo quando è fatto da «stranieri», forse entriamo in un diverso campo, in cui diventa simbolo (fortissimo, ma pur sempre simbolo) di mancanza di sicurezza, di degrado dell’ambiente, e di una guerra per il controllo del territorio.

Insomma, lo stupro indigna quando si carica di una battaglia più ampia di quella della difesa delle donne. Una battaglia in cui, paradossalmente, le donne si trovano di nuovo «oggetto», in quanto proprietà collettiva di un gruppo contro un altro. Una versione dello scontro globale che ritorna a livello tribale. Per chi avesse perso memoria, ricordo che anche nella ex Jugoslavia, una guerra che è stata il massimo dello scontro tribal-identitario, lo stupro femminile è stato usato come «sfregio» di un’etnia contro l’altra.

Come vedete, qualcosa di molto inquietante si accompagna sempre al corpo femminile. Su di esso inevitabilmente pare calare il destino dell’appropriazione da parte di altri. Non era certo questo per cui hanno combattuto le donne di anni fa: volevano innanzitutto la propria dignità come cittadini contro i quali ogni assalto è proibito dalla legge. Ma non credo volessero nessun taglione, nessuna vendetta. Tantomeno diventare parte di un ingranaggio così vasto, di cui alla fine si rimane comunque ostaggi.

lunedì 26 gennaio 2009

INTERVISTA A BATTIATO


A fine mese Franco Battiato partirà per una lunga tournée che lo porterà in giro per l'Italia fino a metà aprile. La prima data sarà il 31 gennaio a Carpi. Il suo ultimo disco, Fleurs 2, che segue Fleurs 3, completa una trilogia di brani pescati nel passato recente della musica leggera non solo italiana. Lo abbiamo intervistato sul rapporto tra musica e spiritualità e sulla possibile convivenza tra le diverse religioni.


Con l'ultimo suo disco «Fleurs 2», lei completa una trilogia di reinterpretazioni di canzoni del passato. Ritiene che le cose migliori siano già state scritte?


«Per niente. Comunque anche se non ne siamo coscienti, il passato è in noi. Recuperare e ridistribuire "il reddito" di certe vette musicali, può arricchire il nostro spesso incerto presente. Bisogna dividere la musica leggera dalla musica classica. Le vette dell'una sono diverse dalle altre. Delle montagnette e l'Everest. La musica leggera si dedica ai sentimenti. Ma ogni volta che ascolto dei grandi compositori del passato mi domando che cosa li abbia ispirati e ne prendo atto per l'oggi, non per ieri. Capolavoro è qualcosa che non ha tempo».


In «Fleurs 2» numerose canzoni manifestano un certo senso di impotenza, di incompiutezza anche dei rapporti più intimi. Mentre l'unico brano inedito s'intitola «Tutto l'universo obbedisce all'amore». Sembra una contraddizione...


«Succede a volte, che una canzone sembra che parli alla testa, ma invece tocca il cuore. Ci sono brani che muovono la compassione delle persone. Anche in passato ho scritto delle canzoni che sembravano semplici e orecchiabili come Centro di gravità permanente, invece affrontavano temi profondi che restavano scolpiti nel cuore di chi le ascoltava».


Tutto l'universo obbedisce all'amore è un'affermazione lontanissima da ciò che abbiamo sotto gli occhi nella nostra quotidianità. È una visione che si deve a una dimensione mistica, spirituale?

«Il mondo è un coacervo, un ammasso di materiale eterogeneo. Sono per natura un metafisico, e resto fermo e saldo nel mio genere. Considero la vita, che trovo meravigliosa, una palestra per farsi i "muscoli" e se ce la si fa, per cambiare e migliorare».


Che rapporto c'è tra la sua musica e la spiritualità?«Un rapporto inscindibile».


Come si svolge la sua collaborazione con Manlio Sgalambro? Come nascono i testi delle canzoni?«Per esempio, parliamo di Tutto l'universo obbedisce all'amore che è una frase di La Fontaine, ma potrebbe essere anche un pensiero biblico. Lavoriamo a distanza: io gli ho scritto che volevo fare una canzone partendo da lì. Lui mi ha risposto suggerendo versi come "ed è in certi sguardi che si vede l'infinito", io ho aggiunto altri brani. Oppure, per La cura: io ho scritto la prima parte del testo, lui mi ha risposto con "Vagavo per i campi del Tennessee... ". Non abbiamo mai discusso sui vocaboli. Lui sa bene che il musicista deve smerigliare il testo sulle note... »


Sulla copertina dell'ultimo libro di Pietrangelo Buttafuoco «Cabaret Voltaire» è riportato un verso tratto dalla sua «Il re del mondo» che dice: «Il giorno della fine non ti servirà l'inglese». È solo un messaggio no global o vuole esortare a coltivare le cose che contano?«La seconda. I monaci tibetani hanno la sana abitudine la sera, prima di andare a dormire, di rovesciare la loro ciotola, a significare che potrebbe essere l'ultima. Il distacco, la consapevolezza che siamo di passaggio, non è che renda più tristi... Anzi».


A proposito di «Re del mondo» che cosa pensa dell'avvento di Obama alla presidenza degli Stati Uniti?«Parla bene, come nessun presidente ha mai fatto. Spero che mantenga la sua posizione. Vedo che sta trascinando tanti in una specie di grande sogno. Ci speriamo tutti, visto che l'America ha determinato le sorti di questo pianeta da decenni».


Buttafuoco è catanese come lei, Carmen Consoli e Juri Camisasca che compaiono anche nel suo ultimo disco. C'è un clan, artistico, dei catanesi?«Juri Camisasca è lombardo, anche se dopo dodici anni vissuti in un monastero benedettino, ha scelto di vivere alle pendici dell'Etna. Buttafuoco e Carmen sono due "raggianti" catanesi. Siamo amici e collaboriamo».


Nell'ultima loro tournée gli U2 facevano comparire sui megaschermi la scritta «coexist», composta dai simboli delle tre grandi religioni: lo spicchio di luna per la religione islamica, la stella di David e la croce di Cristo. Su che basi è possibile il dialogo e una convivenza tra le diverse religioni?«Chi se ne intende, sa bene che tra veri credenti, la convivenza tra le diverse religioni sarebbe la cosa più semplice e naturale del mondo. Purtroppo esistono, e sono tanti, gli "infiltrati". Il signor Bush crede in un dio della guerra, che ha generato morte e distruzione. I talebani, Bin Laden, Hamas sono "infiltrati". Mi dispiace essere estremo, ma molti religiosi che credono di pregare, sono come gli "ultras", esercitano solo violenza e col calcio o con la religione non hanno niente a che vedere».


Lei ha sempre manifestato sensibilità per l'Islam e la meditazione orientale. Non ha trovato inquietanti le recenti manifestazioni di protesta delle comunità islamiche sul sagrato del Duomo di Milano e di Bologna?«Certo: sono situazioni non accettabili, irrispettose non solo per i fedeli cristiani, ma persino per dei laici o non credenti che non vogliono trovarsi in un contesto così.
Come quei proclami di ateismo scritti sulle fiancate degli autobus: è sbagliato, non va fatto, è irrispettoso. Ma non me la sento di sparare condanne. Anzi, credo si tratti di persone verso le quali bisogna provare pietà. Ma sono altrettanto convinto che i violenti non possono essere religiosi, è una contraddizione in termini. Il fanatismo non ha niente a che vedere con la religiosità».

martedì 20 gennaio 2009

ARRIVA IL MESSIA MA SENZA MIRACOLI

Tratto da occidentale.it L'uovo di giornata ( di Mic Rus)






D’accordo l’evento è storico. Non fa una piega, vedere un afroamericano insediarsi alla Casa Bianca ci da la conferma che in America tutto è possibile, yes we can, I have a dream, e via dicendo. Condividiamo pure le teorie di politologi e sociologi vari, i quali, visti i tempi, spiegano come il popolo americano abbia, mai come oggi, bisogno di fiducia e di sognare. E che Barack questo sogno lo incarni si è capito.

E poi non dimentichiamoci che gli americani amano queste adunate oceaniche, con il contorno di palloncini colorati, tazze e bicchieri con il faccione di Obama, t-shirt e così via. Ma permetteteci qualche dubbio, riflessione e perplessità. Non tanto sul Presidente, quanto sulle aspettative che ruotano intorno a lui. Già i numeri dell’evento parlano da se: tre giorni di cerimonia, centociquanta milioni di dollari il costo per organizzare il tutto, oltre ventimila gli uomini impegnati per garantire la sicurezza.




Per gli addetti ai lavori non c’è dubbio: la cerimonia di Obama sarà il più grande evento della storia degli Stati Uniti. Lasciamo stare la polemica sui costi, a conti fatti la cerimonia peserà sulle tasche dei contribuenti per circa cento milioni di euro, il resto delle spese sarà coperto da sponsor, privati e televisioni, e sul fatto che magari, in tempi di crisi, il tutto sarebbe potuto essere fatto con maggiore parsimonia. Concentriamoci invece sulle tre milioni di persone attese a Washington, provenienti da ogni dove, e sull’attese che hanno verso Obama. I numeri stratosferici, le spese folli, questa eccitazione perpetua.

Tutto, visto da qua, pare esagerato. Nemmeno fosse il Messia sceso dal cielo. Saprà allora Obama ridare la vista ai ciechi? Non crediamo. Forse farà camminare gli storpi? Ne dubitiamo. Certo, quello di oggi sarà il Sogno americano che si concretizza e chi sarà nella capitale Usa, assisterà ad un pezzo di storia. Ma ora, e dateci anche dei provinciali, da queste parti per sognare e sperare spendiamo meno. Sarà che siamo più smaliziati e alle favole smettiamo di credere da bambini.

domenica 18 gennaio 2009

I TRE FATTI DELLA SETTIMANA

SUL CASO SANTORO - RAI









Dopo aver visto e rivisto il pietoso show andato in onda ad Annozero sono sempre più convinto che il canone Rai non vada pagato per protesta. Almeno fino a quando Michele Santoro condurrà una qualsivoglia trasmissione della tv di Stato. Non voglio essere io a contribuire con il mio canone certe trasmissione partigiane.


SULLE MANIFESTAZIONE PER LA GUERRA IN MEDIO ORIENTE

Sabato la città di Roma è stata è per l'ennesima volta bloccata a causa di una manifestazione. Questa volta a protestare e bloccare la città sono stati gli estremisti di sinistra con i loro amici musulmani a impedire il regolare svolgimento della vita quotidiana. C'è il diritto di protestare, come c'è quello di potersi spostare liberamente da una parte all'altra della città. A Roma, con oltre 1000 manifestazione l'anno, il secondo diritto viene leso. Spero che il nuovo Prefetto riesca a mantener fede ai suoi impegni e a regolamentare queste manifestazioni. Il fatto che una città poi venga bloccata per far sfilare esaltati estremisti in kfia pronti a bruciare bandiere ed apporre la svastica sopra la bandiera di Israele lo ritengo decisamente assurdo. In quel caso sarebbe cosa buona far intervenire gli idranti per disperdere la folla.




SUL CASO KAKA


Sono sempre più convinto come i tifosi ultrà siano degli animali irrazionali prive di ogni logica. Oggi in tv ho visto uno striscione: "Berlusconi interista". Tanti ne avevo visti e sentiti di epiteti contro Berlusconi ma questo ci mancava. Ora figuriamoci, io sono della Roma e di cosa accade in casa Milan importa ben poco. Dunque quell'invertebrato che ha scritto, ideato e appeso quello striscione non sa che il Milan se venderà Kakà farà il più grande affare di tutti i tempi. Con 120 milioni di euro uno staff capace come quello rossonero è in grado nel giro di due anni di costruire una squadra super vincente. Per un sillogismo facile facile tutti i tifosi che ieri e oggi protestavano contro Berlusconi in merito la vicenda Kakà sono dotati di una intelligenza sufficiente giusto per allacciarsi le scarpe. Tutti sono utili, nessuno è indispensabile. Semmai ci può essere chi, come Kakà, è più utile di altri. E poi, questi stolti travestiti da tifosi, non sanno che a calcio si gioca in undici. Ma d'altronde avete mai visto una capra far di conto?

giovedì 15 gennaio 2009

ULTIME SUL PDL

Situazione aggiornata sul cammino del Popolo della Libertà. Presentatosi come cartello elettorale, frutto di una mera somma aritmetica di An, Forza Italia e i piccoli, e amalgamata dalla vulcanico collante Berlusconiano, registriamo dopo oltre un anno la sua mutazione in contenitore politico -elettorale. Un cambiamento naturale, avvenuto in maniera di certo non veloce ma pur sempre graduale, ma che, ad oggi, non lascia pienamente soddisfatte le intellighenzie dell’ala destra del Pdl, portatori loro, di cifre politiche caratterizzate da profonde radici politiche, le quali continuano a porsi a domande di non poco conto. Al momento mancano secondo loro i contenuti in chiave futura.

Il congresso fondativo del Pdl di fine Marzo dovrà essere il punto di partenza, non certo quello di arrivo. Gli interrogativi non mancano. E, guarda caso, vengono sollevati di continuo dalla componente aennina, perché in Forza Italia continua a regnare una certa tranquillità. In questo dibattito è significativo che nel magazine della fondazione Farefuturo sia apparso una riflessione di Alessandro Campi, intellettuale vicinissimo al presidente della Camera Gianfranco Fini, autore di articolo dal titolo eloquente, “Popolo della Libertà non possiamo accontentarci”. Spetta a loro in questo momento indossare i panni degli stimolatori portatori di quesiti importanti. E allora, si chiedono dalle colonne del pensatoio finiano, sarà mai il Pdl un partito “vero”? Ci sarà una reale democrazia interna o si prevede che a dettare la linea saranno sempre i pochissimi se non l’Uno? E poi sarà un partito leggero o no? E i militanti che ruolo avranno? Potranno le varie anime del partito confrontarsi tra di loro? Ci saranno congressi? Il Popolo della Libertà nasce per merito e grazie alla straordinaria e indiscussa leadership di Silvio Berlusconi, ma questo, nello sviluppo del Pdl, rischia di essere alla lunga un’arma a doppio taglio, perché una aggregazione del genere non durerebbe molto senza il suo naturale leader. Non sorprende quindi che siano proprio le strutture di Alleanza Nazionale a cercare le risposte attraverso incontri, convegni, dibattiti, presentazione di libri. Ma anche qui, qualche limite si intravede.

Il dibattito ruota sempre intorno alla fiamma, che, assicurano tutti, non si spegnerà e i suoi valori continueranno ad ardere dentro il Pdl. Non a caso domenica mattina la corrente di Alemanno si incontra in un cinema romano per parlare di tradizioni, valori, radici. Un altro argomento sul tavolo delle discussioni e sul quale ci si confronta è quello del “partito leggero”. Caratteristica questa che Berlusconi ha sempre preferito rispetto alla tradizionali strutture pesanti. “Ma il partito leggero cosa è?” si domanda An. Prendete il ministro della gioventù Giorgia Meloni, “se partito leggero vuol dire un partito agile e che aggreghi il più possibile bene, se per leggero intendiamo un partito che poi non debba esistere allora non ci siamo”. I

ntendiamoci, anche loro non hanno capito bene come funzionerà il Pdl. E si pongono domande sul futuro partendo da una constatazione: il Pdl non dovrà essere un partito modellato interamente dalla volontà di un solo uomo, nel quale non esiste dialettica interna e dove i gruppi dirigenti e i parlamentari sono cooptati dall’alto.
Insomma, il Pdl dovrà essere un partito per il leader e non più il partito del leader. Ma non c’è solo l’aspetto organizzativo. Ora il contenitore Pdl va riempito di contenuti. E i contenuti in politica si chiamano riferimenti ideali, cultura politica, ideologia. Anche da questo punto di vista il problema c’è: cosa sarà il Pdl? Un partito di ex democristiani, ex socialisti, ex comunisti, ex missini, ex repubblicani, ex radicali, ex liberali o saprà elaborare qualcosa di nuovo? Per fare questo ci vuole coraggio, cultura, idee chiare, confronto, studio. Insomma, saranno in grado gli uomini del Popolo della Libertà di generare una nuova cultura politica? “Liberalismo, identità nazionale, popolarismo, conservatorismo, sono termini che il Pdl deve fare suoi e coniugare in termini moderni”, sostiene Alessandro Campi, il che equivale a dire come il progetto del Pdl, superato il momento elettorale, sia per la costola finiana fallimentare.

Individuato il problema, ora le menti del centrodestra devono elaborare, pensare, studiare e proporre qualcosa in chiave post berlusconiana. Uscendo quindi dal fascio di luce del leader all’ombra della quale sono diventati grandi. I lavori sono in corso e certo i prossimi mesi saranno contraddistinti dai movimenti delle “correnti interne” al Popolo della Libertà e dal loro fisiologico confronto. Fini, Tremonti, Letta, lo stesso Alemanno che sta cercando un asse con la Cdu bavarese, Gianni Letta, Denis Verdini, Ignazio La Russa, Fabrizio Cicchitto, Gaetano Quagliariello. Saranno loro, con il contributo delle Fondazioni e dei pensatoi cresciuti e maturati in questi anni, a riempire e indirizzare il Pdl verso e ben oltre il congresso di Marzo.
C'è poi un piccolo giallo legato alla data fissata per il ventisette marzo. A via della Scrofa nessuno pare abbia ricevuto l'ufficializzazione dell'appuntamento.

Nelle prossime ore ci sarà un incontro tra Fini e Berlusconi durante il quale i due avranno senz'altro modo di guardarsi in faccia e chiarire molto cose. Non è un segreto che il Presidente della Camera sia rimasto deluso in questi mesi dell'atteggiamento tenuto da Berlusconi. Avrebbe Fini apprezzato che i due dessero vita ad una serie di incontri, anche informali, per fare di volta in volta il punto della situazione. Che Fini sia costretto ad alzare la voce contro un ministro del governo per farsi ricevere dal grande capo spiega molte cose.

mercoledì 14 gennaio 2009

RIFLESSIONI SU ALITALIA

Tratto da Dagospia.it

LA BUFFONATA SULL’ITALIANITà DI ALITALIA – TRICOLORE PER 4 ANNI. IL VINCOLO TRA I SOCI CAI SI RIDUCE DI UN ANNO (DUE SE ANDRÀ IN BORSA). POI AIR FRANCE FORTE DEL 25% POTRÀ COMPRARE LE LORO AZIONI – L’IMPEGNO DI COLANINNO SCENDE A 80 MLN…

Gianni Dragoni per "Il Sole 24 Ore"

L'italianità della nuova Alitalia, mitigata dall'ingresso di Air France-Klm nel capitale con il 25% delle azioni, potrà cadere fra quattro anni. L'accordo di lock up tra i soci italiani, cioè il vincolo a vendere le azioni in caso di uscita solo ad altri azionisti italiani, durerà fino al 12 gennaio 2013. Un anno in meno di quanto già previsto.
Dal 13 gennaio al 28 ottobre 2013 anche Air France potrà comprare azioni dai soci italiani, esercitando il diritto di prelazione per la sua parte. Ma il vincolo cesserà ancor prima, fra tre anni, se Alitalia andrà in Borsa.
Sono le novità degli accordi stipulati con il partner Air France- Klm dall'Alitalia privata, nella «nuova alleanza strategica» annunciata ieri sera, dopo l'approvazione del cda Alitalia, la ex Cai, presieduto da Roberto Colaninno. Da oggi la società è operativa con la gestione dei voli passeggeri.
Air France, che compra una fetta del monopolio in Italia a un costo molto inferiore di quello dell'offerta presentata dieci mesi all'Alitalia di Maurizio Prato, verserà 322 milioni di euro. Lo farà nell'aumento di capitale riservato che sarà deliberato il 19 gennaio dall'assemblea Alitalia e «sarà eseguito tra febbraio e marzo», ha detto Rocco Sabelli, amministratore delegato Alitalia. Air France «paga un sovrapprezzo di 40 milioni e avrà il 25% del capitale», dicono Colaninno e Sabelli, i quali hanno definito «la scelta migliore » Air France rispetto a Lufthansa e British Airways. «È la scelta giusta», per Corrado Passera, a.d. di Intesa Sanpaolo.Jean Cyril Spinetta
La quota sottoscritta dai 21 soci italiani dell'ex Cai è di 847 milioni, ma non tutti sono stati versati. Secondo fonti finanziarie vicine alla società, mancherebbe solo Carlo Toto, il quale completerà il 15 gennaio il versamento di 30 milioni, avendone già versati 30.

martedì 13 gennaio 2009

CORTESIA AI NAVIGANTI

CHIEDO UNA CORTESIA A TUTTI I NAVIGANTI CIVILI CHE APPRODANO SU QUESTO BLOG E CIOE' DI FIRMARE I LORO POST AL FINE DI RENDERE UTILE QUALSIASI DIBATTITO. I COMMENTI ANONIMI NON SONO BEN ACCETTI. IO CI METTO NOME E FACCIA, VOI ALMENO METTETECI UN NOME, UN NICK, UN LINK. I COMMENTI ANONIMI VERRANNO RIMOSSI.

GRAZIE
MR

LA RIVOLUZIONE CULTURALE A ROMA PASSA DA VIA NIZZA



LETTERA APERTA AL SINDACO DI ROMA GIANNI ALEMANNO SU VIA NIZZA


"Il malessere esercitato dal situazione in cui versa via Nizza, per quanto riguarda il piano simbolico e culturale, è paragonabile a quello che genera l'orripilante ecomostro di Maier che copre l'Ara Pacis. Il paragone non è fuori luogo se circoscritto appunto all'interno dell'universo simbolico e culturale. Entrambi sono il segno di una amministrazione passata nel tempo e trapassata dalla sconfitta elettorale. Entrambi rimandano a decisioni prese da chi ha governato la città, in modo sprezzante, irresponsabile, visionario, calpestando la cultura civica e le tradizioni di una intera comunità", inizia così la lettera aperta inviata dal Presidente dell'associazione commercianti di via Nizza Giuseppe Lucà alla vigilia del consiglio municipale che si terrà domani mercoledì 14 gennaio alle 15 nella ex Seconda Circoscrizione per decidere se riaprire al traffico ordinario una corsia di via Nizza, rimasta ad oggi, l'unica strada verde dell'intera città.

"La storia della tribolata via è nota, e non è questa la sede per ricordare dieci anni di multe, divieti, serrande abbassate, negozi falliti e richieste per ripristinare la viabilità come era prima dell'intervento dell'allora sindaco Rutelli, il tema è un altro", si legge nella missiva, "ed è legato alla portata simbolica che avrebbe la riapertura della strada nella corsia che da piazza Fiume scende verso viale Regina Margherita, e al messaggio che verrebbe inviato in questo alla cittadinanza, agli amministratori: un messaggio di discontinuità nella cabina di regia della città.

Tutti sanno che l'attuale sistema viario ha di fatto creato una isola pedonale in quel quadrante, tutti sanno che a pochi metri da via Nizza abita Walter Veltroni con la sua famiglia. Il sillogismo è semplice e rimanda ad una idea di azione e decisioni amministrative legate ad uso e consumo di chi gestisce ed ha il potere. Veltroni di fatto non voleva che sotto casa sua passassero le auto dei romani e così fu, Veltroni non voleva che gli autobus passessero in via Savoia, e così fu. Veltroni non sembrò mai disprezzare il fatto che per godere di un priviliegio come questo quaranta commercianti furono costretti negli anni a chiudere la propria attività. Una via silenziosa solo per lui, andava bene intere famiglie costrette al sacrificio e a subire danni economici.

Se Alemanno è stato eletto sindaco della capitale e il Popolo della Libertà ha vinto anche nel II municipio è perchè la cittadinanza tutta ha chiesto un cambiamento, una rottura con il passato. Ha chiesto agli amministratori che ora guidano Roma e i municipi una rivoluzione culturale prima e amministrativa poi. "Roma riparte", è lo slogan usato dalla nuova giunta di centrodestra. Ma Roma riparte se viene destrutturata quell'utopia metropolitano-ambientalista che spinse a chiudere una strada come via Nizza, Roma riparte se i quaranta esercizi commerciali della via potranno finalmente avere gli stessi diritti dei loro colleghi sparsi in tutta la città, Roma riparte se avrà coraggio di dare un messaggio che l'uso e consumo personalizzato della città non ha più la piattaforma culturale sul quale posare. Roma riparte se un'assurda isola pedonale sotto casa dell'ex sindaco viene riconsegnata ai cittadini. Roma riparte se via Nizza riparte. Se abbattere la teca di Maier è oggettivamente difficile ed economicamente impegnativo, aprire via Nizza e riconsegnarla ai cittadini è semplice. L'unica difficoltà è al livello soggettivo e municipale.

Se il Municipio decide di voler perseguire nel mantenere il veltroniano privilegio la storia rimarrà immutata. Se la teca di Maier è una offesa alla romanità e al buon gusto, ostinarsi a chiudere via Nizza sarebbe una offesa alla logica. Perchè le due strade "sorelle" viale Libia e viale Eritrea sono state di fatto riaperte al traffico veicolare subito dopo il 13 aprile. Per fare la rivoluzione culturale e amministrativa ci vuole coraggio. Fino in fondo. Per questo ripristinare l'originale viabilità in via Nizza significa dare un segnale di netto taglio con il passato.Signifa abolire uno dei più gravi danni inflitti alla città di Roma, significa far tornare il sorriso in città".







domenica 11 gennaio 2009

PERCHE' SOLO LUXURIA SULL'ISOLA?



Se il Pd stenta ed ha i suoi bei grattacapi, Rifondazione Comunista non sta messa meglio. Da quando sono fuori dal parlamento gli ex pc non sanno come passare il tempo. La lontananza dalle onorevoli poltrone ha prodotto ritorni in facoltà, come per il professore ordinario di Diritto Pubblico Oliviero Diliberto tornato mesto all’Università La Sapienza, missioni fortunate sull’isola dei famosi, ed è il caso Vladimir Luxuria, o esiliati sul web, vedi Pecoraro Scanio, diventato un blogger instancabile.


Gli altri, i Ferrero, i Vendola, e i Giordano vari discutono, si confrontano, immaginano nuovi scenari, fanno congressi. In una parola: litigano. Su tutto. Da chi debba dirigere il quotidiano di casa, al cartello elettorale per le europee, ai nuovi approcci culturali che la sinistra radicale dovrebbe imboccare dopo la waterloo del 13 aprile. Ma d’altronde il litigio pare essere materia sulla quale i vecchi comunisti nulla hanno da invidiare ad altri. Il caso Napoli-Pd in confronto è un litigio tra bambini.


L’ultimo atto della lotta interna è la scissione annunciata dalla corrente di Vendola. Il motivo? Il partito, così com’è gestito dall’ex Ministro Ferrero, non va proprio. L’analisi è di Franco Giordano, secondo il quale con Ferrero il partito si muoverebbe in una nicchia politica iper minoritaria con l’azzeramento culturale di ogni innovazione sperimentata in questi anni. Giordano non ce la fa proprio a stare in un partito che, udite udite, ha nostalgia del Muro di Berlino. Anche Bertinotti ha espresso dissenso sulla nuova linea del partito e ha deciso di non rinnovare la tessera. A sinistra si sa, ognuno ha più ragione degli altri, ognuno la sa più lunga del suo dirimpettaio. E così dalle colonne dei vari giornali, da Repubblica all’Unità passando per Liberazione e il Riformista, ognuno dà la propria versione dei fatti e propone cure per la rinascita. Il bello è che ognuno ha la forte convinzione di essere portatore del giusto.


L’obiettivo prossimo venturo sono le Europee. Per Giordano bisogna andare uniti, per Ferrero non è così fondamentale. E forse l’intellighenzia post comunista ha ragione, in entrambi i casi sarà difficile riuscire ad avere risultati di un certo valore. Polverizzare l’unica forza a sinistra del Pd è davvero una mossa astuta, minacciare scissioni perché verrà cambiata la direzione di un giornale, Liberazione, che non leggono più nemmeno i militanti duri e puri è quantomeno esagerato.


In questa confusione generale non sorprende che a brillare per chiarezza dei concetti sia l’eroina dell’Isola dei Famosi che dalle colonne del Riformista dice la sua, “la miglior definizione di comunismo l’ha data Gaber in una canzone: essere comunisti significa non riuscire a godere di una cosa se non ne godono pure gli altri”. La soluzione allora c’è alla tragica e mesta fine della sinistra italiana: l’anno prossimo tutti sull’isola dei famosi. Altrimenti, se ne gode solo Luxuria, che comunismo è?
Tratto da occidentale.it ( l'Uovo di giornata)

sabato 3 gennaio 2009

LA TUTA DI PRODI E QUELLA DI FRATTINI



Dipendesse da noi, il passaggio di Romano Prodi alla guida dell’Italia cercheremmo di rimuoverlo se non fosse che ogni tanto qualche perla di saggezza o qualche polemica di elevatissimo profilo ci rammenta da quale alto ingegno sia stato governato il nostro Paese.
Per quanto riguarda le perle di saggezza, valga per tutte l’incipit della ricetta anti-crisi dettata dalle colonne del Messaggero il 31 dicembre: “Facendo un bilancio dell’economia mondiale del 2008, l’unica conclusione è che prima finisce l’anno meglio è”. Ecco il problema! L’avevamo detto che anno bisesto è anno funesto, ma ci mancava l’analisi del bilancio dell’economia mondiale. Ora torna tutto. Ma tant’è.
Quanto alle polemiche d’alto profilo, l’immagine del Professore è riaffiorata nitida dal dimenticatoio nel quale l’avevamo relegata scorrendo sui giornali le ironie che in questi giorni hanno accompagnato alcune immagini del ministro Frattini in tuta da sci, e che fanno il paio con la roboante indignazione che seguì l’immersione di Gianfranco Fini e signora nelle acque di Giannutri e con lo sfottò che fa da immancabile sottofondo alle veleggiate di Massimo D’Alema al largo di Gallipoli, perché il povero D’Alema non è Uolter con le sue figurine Panini e non è nemmeno la Melandri che può concedersi i suoi saltelli a Malindi nei possedimenti di Flavio Briatore e guai a chi la tocca.
Ora, va bene che i pettorali di Obama non si battono e che Obama ha la tessera numero due del Pd e che dunque non c’è partita. Ma è possibile che da noi l’unica immagine di politico ginnico applaudita e consentita debba essere quella del Professore con la tutina attillata da ciclista?
Tratto da www.loccidentale.it di sabato 3 dicembre