
Sono poche parole, distillate con gravità, quelle che pronuncia Benedetto XVI durante l’incontro con gli amministratori del Lazio per gli auguri di buon anno. Il Papa punta l’indice sul “grave disagio in cui versano alcune aree di Roma”. Questa volta non si tratta di accuse che l’opposizione lancia al “modello Roma”. No, quelle parole, che risuonano nella sala Clementina in tutta la loro gravità, hanno la forma di un severo richiamo. Se il Vescovo di Roma non ha esitato a lanciare un monito forte e chiaro nei confronti degli amministratori romani è segno che il limite è stato superato. Il motivo scatenante che ha fatto traboccare Benedetto XVI va cercato negli ultimi episodi di violenza che hanno scosso Roma: le continue aggressioni, la morte di Luigi Moriccioli massacrato mentre percorreva la pista ciclabile della Magliana, la barbara uccisione di Giovanna Reggiani nella stazione di Tor di Quinto. Il Pontefice, a chiare lettere, ha chiesto che, “al di là dell’emozione del momento avvenga un’opera costante e concreta che abbia la duplice finalità di garantire la sicurezza dei cittadini e assicurare a tutti, in particolare agli immigrati, il minimo indispensabile per una vita dignitosa”. Mai Roma aveva ricevuto critiche così pesanti. Al di là di facili strumentalizzazioni è innegabile che nella capitale ci siano troppe piaghe aperte. Disagi e ritardi cresciuti lentamente, lievitati nell’indifferenza della cultura amministrativa di sinistra che qui detta regole da quindici anni. Appare sin troppo facile gettare la croce addosso a Veltroni. In fondo il Sindaco ha subito in questi anni lo stesso ricatto che Prodi sta subendo oggi dalla sinistra massimalista. Rutelli stesso, sindaco per due mandati, non era stato in grado di affrancarsi dal modus operandi degli scomodi alleati. Le baraccopoli abusive sono state tollerate sia dall’uno che dall’altro. I centri sociali finanziati prima e dopo. Ai vigili urbani è stato impedito di ottenere l’armamento in entrambe le reggenze filopacifiste. Il comune denominatore che ha contraddistinto Roma in questi anni è stato un giustificazionismo nei confronti di tutto e tutti, o per la dirla alla Veltroni, di una inclusione continua. La microcriminalità in mano ai rom, c’era prima e al pari di oggi. Parlare delle periferie poi è come gettare sale sulla ferita aperta di questa città. Le preoccupazioni di Benedetto XVI sono le stesse che accompagnano quotidianamente i tanti parroci impegnati nei territori di frontiera. Con molta probabilità alle orecchie del Pontefice deve essere arrivata la vicenda di Don Riccardo, parroco di Tor Bella Monaca, quartiere dormitorio dove il cemento e la droga sono i compagni del viaggio che qui chiamano vita e che da queste parti è decisamente in salita. Un posto dove la disperazione è presente tutto l’anno. Anche a Natale, dove all’uscita della messa i fedeli si sono ritrovati con i finestrini delle auto sfasciate e molta speranza in meno nel futuro. Altre periferie come Corviale, Laurentino 38, Trullo sono lì a chiedere interventi che possano riqualificare non le strade, non le piazze, ma la vita di chi ci abita. Rutelli diede vita ad un progetto ambizioso, quello delle cento piazze. Costruite per far incontrare i romani, dando loro punti di aggregazione. La cura della piazza non ha funzionato. Molte, soprattutto quelle costruite in periferia, oggi sono buie e ritrovo di spacciatori. Emblematica la storia dell’ Esquilino quartiere di umbertina memoria, sorto a ridosso del Colosseo, trasformatosi negli ultimi quindici anni in una Chinatown senza regole, dove pakistani, cingalesi, ma soprattutto cinesi, vengono obbligati a lavorare per dodici ore in scantinati umidi e senza luce. Gli stessi si ritroveranno a dormire ammassati in un unico appartamento nemmeno fossero delle bestie. Risultato: sono sempre meno i negozi gestiti da italiani, così come diminuiscono i romani che rimangono ad abitare qui. La chiamano multiculturalità, ricerca affannata di una impossibile integrazione. Il mito, inseguito dalla sinistra capitolina, di razze diverse che si fondono, ignorando storie, usanze e tradizioni e le leggi del paese ospitante. La realtà infatti ci parla di una illegalità diffusa, di strade dove l’abusivismo commerciale raggiunge picchi senza eguali. Poco arriva sulle pagine dei giornali perché, come recita un motto da queste parti, “ i cinesi si mangiano pane e sputo e si ammazzano solo tra di loro e lo fanno silenziosamente”. Della insicurezza tanto si è detto in questi mesi. Come del mancato progetto di integrare le popolazioni rom. Un fallimento costato ai cittadini romani milioni e milioni di euro. Ed eccolo il paradosso che si è prodotto in questa città, nella quale la sinistra buonista, che veste i panni dell’eterno piccolo principe, ha rincorso per anni il mito della tolleranza, della multietnicità, del pluralismo a tutti i costi. A forza di inseguire l’utopia si è persa di vista la realtà. Quella contraddistinta da regole certe e uguali per tutti, italiani e non. Quella realtà dove necessariamente non debbano esserci sempre delle giustificazioni per costruire gli alibi a chi infrange di continuo le regole.